Dreaming a work!

aprile 14, 2013


Non esiste né peccato, né virtù. Esiste solo quello che si fa e che è parte della realtà, e tutto ciò che si può dire con sicurezza è che la gente fa delle cose che sono simpatiche, altre che non sono simpatiche.

FURORE- John Steinbeck

La crisi  dapprima solo finanziaria, degenerata poi in crisi di sistema ed economica, sta letteralmente scardinando le fondamenta della nostra società e i valori fondanti che per  una buona parte di secolo hanno garantito il vivere civile e un discreto progresso-benessere materiale; altresì essa sta inesorabilmente e progressivamente erodendo ogni fondamenta del nostro sistema democratico.

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Non è un caso isolato la tragedia di Isola del liri, ma una vera e propria emergenza generazionale ,spia di una situazione sociale a tratti insostenibile e sciagurata, che registra un incremento esponenziale dei suicidi legati al lavoro-nonlavoro; spesso a tale piaga si legano non solo bisogni materiali, assenza di lavoro, ma anche disperazione, scomparsa di ogni speranza del futuro, che nessuno a livello statale e sociale e capace di intercettare e indirizzare. Speravamo, con un pizzico di egoismo, proprio di quel comune pensare “non mi riguarda, o non ci posso fare nulla”, che una delega in bianco, la gestione tecnocratica dell’eccezionale-ordinaria tragedia, come un manna avrebbe incrementato la crescita, arginato il debito pubblico, e che virtuosamente ogni problema sociale si sarebbe risolto per inerzia.  

Ma la realtà è stata cruda, tranciante: licenziamenti, assenza di una politica industriale e  sopratutto di riconversione, quindi chiusura di stabilimenti e una pletora di disoccupati.

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Gli ammortizzatori sociali, dopo anni di pseudo politiche riformiste sul nulla sono svuotati o in fase di esaurimento. La tragedia che una generazione sta vivendo assomiglia al libro di Steinbeck “furore”, dove il sogno si infrange contro la realtà! In più c’è un perverso dualismo nella nostra nazione sintomo di una duplice tragedia!

Da un lato c’è chi ancora possiede si un lavoro, ma con forte rischio di perderlo, esclusione e scivolamento sociale, cioè le passate generazioni o i nuovi precari; dall’altro c’è chi non lo ha, moltissimi giovani ed esodati, CHE NONOSTANTE LE QUALITA’, vedono stringersi ogni orizzonte e scomparire ogni via d’uscita.

Ci eravamo convinti, ed in parte ci avevano persuaso che il famigerato spread fosse l’unico parametro da correggere per poi agganciare su di esso le linee di politica economica!  Ma se ancora si muore per suicidi, per una deliberata scelta che certifica l’assenza di ogni speranza, forse qualcosa di terribile c’è oltre il mero calcolo contabile. Giova ricordarlo, senza nascondersi, senza infingimenti ideologici,  che il lavoro non è solo uno strumento di sostentamento, ma un diritto “sociale; esso richiede un intervento positivo dello stato non invasivo e/o programmatore, ma per ripristinare le condizioni favorevoli, correggere le distorsione dell’economia di mercato: si sta perdendo la partita più grande, quella di civiltà. Una società che lo dimentica, o peggio fa finta di non poterci fare nulla non è solo egoista, ma è destinata o al dissolvimento o a far finta di abiurare sempre i suoi mali..senza mai risolverli..

Valentino Cerrone


Da circa due anni il mondo intero, dal continente americano a quello europeo nonchè alcune fasce dell’Asia, è alle prese con la più complessa e difficilmente gestibile crisi economico-finanziaria e sociale che la storia abbia mai conosciuto dal 1929.

Il filo comune che unisce i continenti è rappresentato dal debito sovrano, cioè l’esposizione debitoria che ogni nazione ha accumulato nel corso degli anni a causa di spese spesso inutili e sbagliate, dettate da clientelismo o cambiali elettorali, o derivanti da progetti faraonici e non ammortizzabili, non curanti delle elementari regole di bilancio.

I primi segnali della crisi si sono avvertiti negli Stati uniti con lo scandalo dei muti sub-prime ovvero titoli spazzatura che venivano confezionati dalle Banche d’affari e collocati nel mercatocon il placet scandaloso delle agenzie di rating, con elevate garanzie di rendimento ma che in realtà nascondevano rischiosi titoli finanziari. Scoppiato lo scandalo e diffusasi la crisi, il contagio si è steso anche in Europa colpendo dapprima la Grecia e in seguito gli altri paesi  considerati il “ventre molle” del mediterraneo tra i quali anche l’Italia che vengono definiti “oltremanica” con l’epiteto p.i.g.s.(Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).

Difronte all’espandersi del debito greco le istituzione politico-monetarie europee e le singole nazioni coinvolte hanno cominciato a predisporre in maniera spesso improvvisata e scoordinata interventi di urgenza.

Per quanto riguarda l’Italia gli interventi non sono stati e non sono tuttora facili per  due ordini di motivi complementari e connessi:

1) in primo luogo la  mole e la struttura del suo debito pubblico;

2) in secondo luogo per il fattore tempo.

Rileggendo le cronache del tempo passato, possiamo infatti notare come l’esposizione debitoria italiana sia stata sempre crescente, nonostante già da tempo vi fossero le prime avvisaglie di crisi ampiamente sottovalutate già ai tempi dell’unificazione tedesca, nella convinzione che il nostro enorme debito fosse messo nella cassaforte europea e collettivizzato in cambio della rinuncia della nazione tedesca al Marco.

Nel corso degli anni la classe politica italiana ha sistematicamente aumentato le spese riguardanti il proprio fabbisogno (scuole, sanità, infrastrutture) spesso oltre la dovuta misura, rispondendo a logiche clientelari e dando vita a fenomeni corruttivi che sono finiti momentaneamente con lo scandalo di tangentopoli. Purtroppo la classe politica non ha mai smesso di assumere comportamenti non rispondenti alle esigenze pubbliche continuando a far lievitare le spese inutili e improduttive.

Per quanto riguarda il secondo fattore il tempo, lo sviluppo dei mercati e la globalizzazione hanno inciso profondamente sui meccanismi di valutazione dell’economie nazionali, con logiche e tempi lontani dagli ingessati  e burocrati meccanismi di un’Unione europea solo monetaria.

Mentre gli altri paesi tentavano però di porre freno all’indebitamento e ad invertire la rotta, il nostro paese era incurante dei richiami sia a livello europeo che a livello internazionale, che mettevano nitidamente in luce il pericolo di default cioè il rischio che la nazione fallisse per l’incapacità di pagare i debiti contratti.

Questi due fattori hanno creato una miscela esplosiva che è culminata con le dimissioni del governo di centro destra guidato da Silvio Berlusconi dopo un estenuante tira e molla e blocco del parlamento durato mesi, mentre la crisi si evolveva e il pericolo d’insolvenza si faceva sempre più marcato.

Giunti a questo momento si è reso necessario un cambio di rotta che ha portato all’insediamento del governo Monti composto da personalità di elevato spessore e riconosciuta esperienza a cui è stato affidato il difficile compito di porre un argine alle cause della crisi.

Il governo Monti è composto esclusivamente da personalità esterne alla politica. L’entourage di Monti ha fin da subito  messo in cantiere una serie di riforme strutturali che mirano a ridurre il divario, lo spread, tra il rendimento dei titoli del tesoro italiani e quelli tedeschi.

In secondo luogo ha cercato di mantenere alta l’inflazione per evitare che l’aumento del tasso d’interesse facesse aumentare a sua volta gli interessi che si pagano sul debito pubblico. Inoltre per ridurre ulteriormente la spesa pubblica ha deciso di riformare le pensioni una delle componenti  più elevate del debito pubblico assieme alle spese improduttive celate nei vari bilanci della P.A. In questi giorni si sta tentando altresì di riformare sia il mercato del lavoro sia di liberalizzare alcune settori dell’economia che vedono determinate categorie lucrare profitti spesso ingiusti.

Un’altra manovra fondamentale è stata quella di combattere l’evasione fiscale aumentando i controlli e irrigidendo le sanzioni. Purtroppo non vi sono solo rose e fiori: la manovra poiché è stata disegnata per una situazione di emergenza e in poche settimane va a colpire principalmente le classi che già in passato hanno subito il peso maggiore delle tasse, avendo pertanto effetti velatamente recessivi.

L’aumento della tassazione, il rincaro dei prezzi, l’aumento della disoccupazione,  l’aumento di vasti settori dell’economia, hanno ridotto il potere di acquisto delle famiglie nonchè la capacità dell’imprese di investire e di assumere bloccando la crescita del PIL (prodotto interno lordo). Quindi, oltre che economico il problema e gli effetti della manovra sono anche di carattere sociale.

La popolazione è sempre più sfiduciata poiché non conosce quando tale situazione di crisi finirà e con quali effetti. In questo scenario regna la confusione totale in Europa, dove Germania e Francia  costituiscono assieme al FMI-Fondo Monetario Internazionale- una “Troika”, decidendo di fatto come e quando arginare la crisi, con decisioni come nel caso Greco, draconiane e in qualche misura eccessivamente punitive per una nazione che da cinque anni è in recessione e che già ha attuato ben cinque tagli di Austerity!!

Fortunatamente dopo un periodo di isolamento anche l’Italia si è riaffacciata nella politica europea per far valere le sue ragioni e far sentire il suo peso essendo tra l’altro uno dei paesi fondatori del progetto europeo. La strada è ancora in salita nonostante lo spread sia sceso, e poichè spesso come un altalena va su e giù creando incertezza tra gli investitori. La fiducia che era stata lesa dal passato governo lentamente viene ricostruita, l’orgoglio italiano pian piano riemerge. L’Italia non è più vista come incapace di prendere decisioni, lacerata dall’interno da scandali e particolarismi.

Nonostante questi importanti passi ancora c’è molto da fare, in quanto le misure che arginano la crisi possono essere predisposte in tempi brevi,  ma diverso discorso è per la crescita economica che richiede provvedimenti e interventi di lungo periodo.

Si è evitato il rischio di default, lo spettro del fallimento è lontano, ma ancora non si è salvi.  Fino ad ora il governo ha ben operato, la popolazione anche se a fatica, ha compreso l’urgenza delle manovre, ma l’attesa non può durare troppo sono necessari interventi concreti che riportino lavoro e reddito.

Pochi mesi fa molti quotidiani stranieri pubblicavano vignette che parafrasavano un passo di Dante “lasciate ogni speranza a voi che entrate” con riferimento all’Italia: il vento è cambiato adesso tocca remare tutti insieme per portare fuori dalle acque tempestose la nave italiana, senza dimenticare Atene.

Invero un default di Atene costerebbe il collasso della struttura europea, e i cocci come schegge  colpirebbero anche nazioni come la Germania  che si sentono al riparo. Nel frattempo dopo le lacrime e sangue delle manovre bisogna guardare avanti. L’Italia non si è fatta in un solo giorno e nemmeno con pochi mesi si possono rimediare anni di errori ed egoismi. 


L’austerità economica e le misure draconiane avranno la capacità di evitare il collasso della moneta unica? Dobbiamo rassegnarci alla recessione con conseguente flessione dei consumi, o ci sono altre vie percorribili alla riduzione del debito pubblico?

Ancora giornate infuocate, tristi presagi di recessione, e rassegnazione sui visi di milioni di cittadini europei e di riflesso americani. Il motivo di tale stato d’animo sta nella inevitabilità della crisi globale che pare attanagliare la sopravvivenza del sistema monetario unico europeo, secondo i più pessimisti, e la  “naturale” stagnazione dei consumi, conseguente a politiche economiche rigorose ma necessarie, alle quali non pare proprio far da controaltare una poderosa iniezione di liquidità essenziale per far ripartire i consumi e quindi la domanda aggregata interna pubblica e privata.

Però in questo coro uniforme si levano due autorevole voci che paiono in qualche modo se non smentire, almeno mettere in dubbio la ratio e le direttrici dei vari interventi concordati dalle cancellerie e dagli organi istituzionali di mezzo mondo.

Berlino, per voce del Ministro dell’economia e delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble si spinge fino a disegnare un “Redemption Fund”, ovvero un fondo di salvezza per ciascuno dei paesi della zona Euro. La finalità di tale dirompente ma ingegnosa proposta sarebbe quella di “parcheggiare” tutto il debito che oltrepassi la soglia del 60% del pil in tale fondo, permettendo così ai paesi sotto la lente d’ingrandimento di estinguere l’eccedenza in un’arco temporale di venti anni, da un lato finanziandone la restituzione mediante le entrate fiscali, dall’altro portando a compimento, senza traumi e con efficacia mirata, quelle riforme che spesso veti incrociati e timore non riescono a disegnare.

Tale proposta oltre ad avere una prospettiva di lungo termine e di ampio respiro, ha il pregio e il coraggio di mettere in discussione il totem dell’abbattimento del debito pubblico, (come pochi economisti hanno avuto l’acume e “l’ardire” di sottolineare, ad esempio, Emiliano Brancaccio, valente professore e giornalista, attento alle politiche sociali) unicamente in un’ottica di breve termine sic et simpliciter, che rischia però di deprimere anche quei paesi che avrebbero fondamentali e risorse per crescere, e quindi avere maggiori entrate che permetterebbero di abbattere il debito senza i rischi di una recessione.

Ma se Berlino si sveglia, sulla sponda dell’Atlantico non stanno con le mani in mano e così anche uno degli opinionisti più autorevoli del New York Times, Paul Krugman si unisce ai tedeschi nello sdoganare l’urgente bisogno di politiche monetarie e fiscali espansive, in quanto a sostegno dell’economia, per evitare che l’UE e l’America rimangano prigioniere dei tagli e della paura dell’inflazione, cioè di una crescita dei prezzi, avvitando così la crisi in una stagnazione dai tempi incerti. Ma la tesi di Krugman non è frutto solo di una provocazione-intuizione, ma di una profonda e disincantata analisi dei dati: ante 2008, a scricchiolare erano da un lato il sistema bancario fuori controllo, dall’altro un debito pubblico senza freni che correva quando invece era richiesta prudenza. La bolla, di cui i mutui subprime furono l’avvisaglia più grave, scoppiò, e così la domanda privata interna si ridusse fino a crollare. Ed è in questo scenario di panico generale che i governi dei paesi debitori e non, scelsero la drastica scorciatoia della riduzione della spesa pubblica e dell’aumento della pressione fiscale, senza tener conto dell’opzione della politica di “twist”.

Invero,  l’obiettivo non è in tale opzione solo la stabilità dei prezzi, ma anche la piena allocazione di risorse. Ragion per cui essa svolge un ruolo proattivo nello stimolare l’economia, acquistando titoli di debito a lungo termine (facendo salire il prezzo e quindi deprimendo il tasso di rendimento) e vendendo titoli di debito a breve termine (facendo ridurre il prezzo e salire il tasso di rendimento) così portando benefici virtuosi ai consumi di lungo periodo.

Purtroppo, a quanto pare, l’America e l’Europa sembrano prigionieri dei loro fantasmi, i policy maker, coloro che dovrebbero confezionare gli orientamenti polici ed economici, sono ambivalenti o spesso sospesi tra rigore ed espansione, quando le due direttrici andrebbero, come pare voler fare Mario Monti, unificate.

L’unificazione dovrebbe essere immediata o quantomeno attuata in tempi stringenti, altrimenti le due fasi, riduzione e crescita, rimarrebbero come due parallele, che non convergono mai. Se così fosse, il “credit crunch”, ovvero la stretta creditizia, e la trappola della liquidità, l’incapacità della politica monetaria di influenzare positivamente  la domanda, diverrebbero condizioni preliminari  a scenari cupi e il default sarebbe inevitabile.

Non ci resta che piangere, sperando che le misure draconiane funzionino, o dobbiamo pretendere con vigore anche politiche di stimolo?…Capitani coraggiosi, la campana dell’ultimo giro è suonata!


DOPO SETTE ANNI DALLA SUA EMANAZIONE, ALLA DIRETTIVA MIFID (Markets in Financial Instruments Directive, la N. 2004/39/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004), VIENE FATTO UN SOSTANZIOSO RESTYLING!

In questo clima economico così agitato e politicamente incerto, nel quale ogni giorno emerge spesso l’impotenza e la stanchezza degli operatori economici e degli attori politici a contrastare un declino che pare avvitarsi sempre più in se stesso, senza far sperare in vie d’uscite o miglioramenti, una forte presa di coscienza di alcuni errori nelle liberalizzazioni, una revisione nelle modalità di scambio degli strumenti finanziari, apparivano necessarie ed improcastinabili.

Per dare risposta a queste sollecitazioni la Commissione europea ha predisposto una nuova bozza di regolamento finalizzata ad incrementare in primis la trasparenza dei mercati finanziari,  in secondo luogo a diminuire i rischi nel settore della “regolamentazione”, ovvero i coni d’ombra e le zone franche che spesso avvolgono molte transazioni, nello specifico quelle relative ai derivati e le operazioni “over the counter”.

Ma l’aspetto più incisivo è la previsione di cambiamenti nel sistema delle Sanzioni, nello specifico nel settore penale, armonizzando reati come “l’insider trading” e “la manipolazione dei mercati”, con la previsione di irrogazione di pene detentive per tutti i paesi membri. Invero, accanto al reato di insider trading, già previsto nella legislazione Italiana, sarà previsto il reato di “tentata manipolazione del mercato”, al fine di porre un freno a quella distorsione nella formazione dei prezzi, naturale conseguenza degli scambi automatizzati.

Il principio cardine che ha fatto da filo rosso alla suddetta riforma è riassunto nelle parole del Commissario al Mercato interno Michel Barnier, sostenitore in prima linea del rafforzamento della MIFID:” riportiamo la morale là dove è sparita!”.

Per addivenire a tali risultati, i campi di lavoro e di intervento sono stati due: da un lato, gli abusi di mercato (direttiva Mad), dall’altro i mercati degli strumenti finanziari (direttiva Mifid), con speciale attenzione ai derivati, che operano fuori dal perimetro delle borse, con la previsione di regole nelle modalità di formazione dei prezzi.

Nello specifico, la Direttiva MIFID, prevedeva IN SOSTANZA l’obbligo in capo agli intermediari di classificare gli investitori al dettaglio sulla base di due indicatori: abilità a prendere decisioni finanziarie e capacità di sopportare il rischio. Il pregio di tale classificazione, stava nella possibilità di vagliare quali strumenti finanziari meglio si adattassero al profilo del risparmiatore, ed altresì prevedere gli obblighi informativi nei confronti della clientela.

Emerge quindi icto oculi però che il punto dolente di tale impianto è stato quello delle autovalutazioni, con conseguenti effetti distrorsivi: in primo luogo poichè l’intermediario non era per sua natura incentivato a raccogliere informazioni accurate sulle capacità finanziarie dei clienti, in quanto il suo interesse primario era di giustificare il prodotto in venduta, anche a costo di una rappresentazione superficiale e distorta. Secondariamente, le autovalutazioni tendono ad essere distorte, dal momento che le persone hanno una considerazione di se stesse che non si concilia spesso con quella reale.

Il settore più delicato, che necessitava di una regolazione più rigorosa era ed è quello dei mercati derivati delle materie prime, per il quale la speculazione selvaggia ha avuto  troppo spesso conseguenze deleterie per l’economia, e che in assenza di una inversione potrebbe avere ripercussioni pesanti a livello sociale ed economico per l’intero pianeta.

Per quanto concerne i mercati over the counter, saranno previste le OFT, ovvero“piattaforme di negoziazione alternative”, che interesseranno anche quelle società di investimento che si occupano degli ordinativi interni. Una misura estrema e particolarmente rigorosa è stata implementata per evitare “gli ordini civetta”, ovvero la pratica di diffondere intenzioni di ordini o ordini, non al fine di una effettiva negoziazione, ma per creare turbative e speculare sulla formazione dei prezzi: a tal fine, si è prevista anche l’opzione di circoscrivere la quantità di ordini per partecipare alle transazioni, di delimitare la fascia di caduta o aumento del prezzo, ed infine di sospendere le negoziazioni qualora vi siano negoziazioni poco trasparenti sui prezzi.

Una misura particolarmente attenta alla situazione in fieri per i debiti sovrani, è la proposta mirante a sganciare i destini dei paesi sotto programma, dalle  temute pagelle delle tre sorelle, le agenzie di rating Standard & Poor’s, Mooody’s  e Fitch, arrivando a sospendere il rating su tali nazioni.

Purtroppo, tale riforma non colpisce con dovuta forza uno dei punti più distorsivi e difficilmente contrastabili del fenomeno speculativo: le dark pool. Con tale accezione si indicano le “borse nere, alternative” a quelle tradizionali nelle quali nella fase pre-trade, non vengono pubblicizzati i prezzi. Tuttavia, si è tentato di porre un’argine, ma molto generico e labile, frutto di un compromesso a ribasso: ovvero, il mantenimento di tali borse è subordinato alla condizione negativa che non arrechino distorsioni sostanziali di concorrenza e quindi non incidano sull’efficienza del procedimento di definizione dei prezzi.

La regolamentazione, o meglio la “regolazione”, è un’attività necessaria e molto difficile, non solo nella fase di implementazione, ma sopratutto in quella di progettazione, per una serie di ragioni strettamente connesse: i destinatari di tale attività invero hanno per loro natura l’intenzione di aggirarla nella sostanza, nella ratio, però rispettandone la forma. Orbene, ciò è possibile nella misura in cui la regolamentazione sia piena di falle o peggio progettata sull’onda dell’emotività, per dare risposte all’opinione pubblica o per calmierare il dissenso. Per cui  sarebbe buona regola al momento di disegnarla che il regolatore evitasse di utilizzare scarse informazioni, e cercasse per quanto possibile precedenti su cui rifarsi.

Concludendo, l’impianto normativo tranne alcuni punti pare molto attento alle problematiche odierne, ma sopratutto lo spirito che ha guidato la riforma: varare le regole e testarne preventivamente l’efficacia, con la possibilità ma sopratutto la volontà di rimodularne all’occorrenza la portata, ed altresì l’ammissione di errore da parte del regolatore.

Come si parafrasa spesso,” solo sbagliando si impara“…


Ci risiamo! ancora un’altra battaglia tra l’amministrazione Obama e il sistema capitalista americano. ” La Goldman Sachs ha abbindolato i suoi clienti ed ingannato il Congresso..” Questa la denuncia netta e senza giri di parole sollevata dal Senatore democratico Carl Levin, per sottolineare il distorto e scorretto comportamento utilizzato da uno degli attori più importanti dello scenario finanziario americano, la Goldman Sachs. Tale esternazione è il percorso di un percorso iniziato con la Commissione di inchiesta sulla crisi finanziaria, nella quale è inequivocabilmente emerso che tale Società ha propinato ai suoi clienti a prezzi gonfiati numerosi prodotti derivati sui quali qualche perplessità era stata avanzata dalla stessa banca, ma sul cui rischio ha preferito speculare a danno dei clienti. Ma un fattore ancora più preoccupante emerso da tale rapporto sta nel tentativo celato da parte dei Chief executive manager, di insabbiare nel corso delle audizioni la verità per sviare l’inchiesta. Tuttavia, come spesso accade, è mancata un po di incisività nel “Anatomia del collasso finanziario”, in quanto tale rapporto ha si il pregio di porre senza mezzi termini gli accusati sotto i riflettori, ma non denuncia nè i reati imputabili nè apre o sollecita alcun procedimenti giudiziario a carico dei colpevoli. Si limita tuttavia a suggerire a organismi appositi come la SECE, il Ministero della Giustizia, di approfondire il comportamento e le pratiche di alcuni manager e istituzioni finanziarie. In tale rapporto stilato dal Congresso, non solo la Goldman Sachs è sotto la lente di ingrandimento, ma anche Deutsche Bank, le Agenzie di rating, la Washington Mutual e l’Office of  thrift supervision. Si sono inoltre allegate ben 19 raccomandazioni, il cui common core è il conflitto di interessi.

Infatti, è noto che ad accellerare bruscamente ed irreversibilmente la crisi fu il downgrade, ovvero il declassare nel punteggio i titoli derivati emessi dalle stesse agenzie, premiati al momento della collocazione con ben tre A, quindi con elevata garanzia di solvibilità, ma  tuttavia notevolmente ridimensionati nel luglio 2007. Il conflitto di interessi tutt’ora irrisolto, sta proprio nel meccanismo pernicioso che a pagare quel Rating fossero le stesse banche di Wall street, con effetti perversi e a cascata sull’economia di mezzo mondo. Ma nonostante l’argine posto dalla riforma Dodd-Frank in materia finanziaria, e le misure introdotte per rafforzare la trasparenza da parte della Goldman Sachs, i grossi nodi rimangono irrisolti, il meccanismo ancora deve essere scardinato in tutte le sue componenti, e il danno di centinaia di miliardi di perdite sopratutto ancora deve essere riassorbito dal sistema finanziario ed economico globale.  Gli animi si stanno raffreddando, ma quando terminerà la recessione?… Quanto i comportamenti di tali Agenzie saranno sterilizzati o quantomeno depotenziati in settori delicati..? …Alla prossima puntata…