« Verrà un giorno in cui anche a voi cadranno le armi di mano! Verrà un giorno in cui la guerra vi parrà altrettanto assurda e impossibile tra Parigi e Londra, tra Pietroburgo e Berlino, tra Vienna e Torino quanto sarebbe impossibile e vi sembrerebbe assurda oggi tra Rouen e Amiens, tra Boston e Filadelfia.[…] Verrà un giorno in cui si vedranno questi due immensi gruppi, gli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti d’Europa posti in faccia l’uno dell’altro, tendersi la mano al di sopra dei mari […] »

 (Victor Hugo, Discorso tenuto al congresso della pace di Parigi, 21 agosto 1849)

Notizia più bella non poteva che arrivare in un contesto storico-sociale così delicato e tumultuoso: la prevalenza dell’economia sul diritto, la finanziarizzazione dei diritti sociali, la progressiva disintermediazione del tessuto sociale, lo scollamento tra corpo elettorale e ceto politico, le fiammate euroscettiche e i rigurgiti di nazionalismo.

Dopo Michail Sergeevič Gorbačëv nel 90′, Aung San Suu Kyi nel 91′, Fredrik Willem De Klerk, e Nelson MandelaYasser Arafat, Shimon PeresYitzhak Rabin nel 94′, passando per Al Gore e Barack Obama e Liu Xiaobo, il prestigioso riconoscimento fregia non una persona sola ma un continente intero.

Ebbene, una vera e propria manna che dall’accademia norvegese cade sui media europei e mondiali a riaccendere le speranze di un’immobilismo politico che sembrava destino ineluttabile, linfa per le coscienze  più creative ormai sfibrate da un perenne bollettino negativo ad ogni apertura e chiusura di borsa o di vertici istituzionali. 

Come si legge dalle motivazioni “L’Unione e i suoi membri per oltre sei decenni hanno contribuito al progresso della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”: ovvero il riconoscimento del ruolo propulsore e pacificatore a quei tanti che hanno investito in un sogno è il coronamento di un lungo e ripido percorso,  tuttavia ancora non terminato. Ma non solo di pace dal punto di vista prettamente bellico si parla nelle righe del comunicato.

Invero, negli Anni ’80, Grecia, Spagna e Portogallo sono entrati nell’area europea a pieno titolo, con conseguente instaurazione di un compiuto e funzionante regime democratico, sia in senso sostanziale che formale, quale preliminare e fondante condizione per la loro adesione/ammissione.

 

E’ assodato che la Caduta del Muro di Berlino ha contribuito in maniera incontrovertibile all’ingresso di molte nazioni dell’Europa centrale e orientale, in passato sotto l’orbita sovietica, sancendo la fine della linea di demarcazione est-ovest, la progressiva implementazione di regimi democratici in nazioni con  evidenti ed imbarazzanti deficit istituzionali: ma sopratutto si registra il maggior traguardo nella risoluzione di quei conflitti etnici-religiosi che hanno fatto da detonatore ai conflitti mondiali.

Non è un caso che l’ammissione della Croazia per l’apertura di negoziati con il Montenegro,  e il  conseguente e funzionale riconoscimento dello status di candidato, sono tappe di una ricomposizione della ferita nei territori dei Balcani, insanguinati per oltre un decennio con gravi mancanze anche dell’Unione a quel tempo impreparata ed indecisa su come intervenire efficacemente.

Inoltre non bisogna tralasciare come l’ingresso della Turchia abbia rappresentato sia un’avanzamento della tutela dei diritti umani anche in aree prossime al medio-oriente, sia la conferma della UE come player sulla scena mondiale quale garante e fattore di stabilità.

Se fosse ancora vivo Alfred Nobel con un sorriso potrebbe affermare:”Finalmente, l’Europa rappresenta la fraternità tra le nazioni”!