Il mondo occidentale, scosso dai marosi della crisi economica e sociale più pesante e complessa conosciuta dalla storia post 29′, e parte delle tigri asiatiche, sospese tra mirabolanti progressi economici e fragili equilibri democratici da rinforzare, sono alla continua ricerca di una bussola che orienti le scelte contingenti degli establishments mondiali e  ridisegni l’architettura dell’ordine futuro del pianeta.

Sono due le tendenze prevalenti nello scenario globale: da un lato, un neo-liberismo “mascherato” spesso da pseudo-riformismo, noncurante però dell’equità e della giustizia sociale, spesso annidato sotto le vesti di misure “lacrime e sangue” presentate come necessarie e salvifiche; dall’altra parte per converso, si assiste ad un revironment, ad un rifugio nello statalismo con contorni imprecisati e vaghi, che mal si concilia con un mondo fortemente inter-relazionato, nel quale il meccanismo dei vasi comunicanti è la regola basilare di funzionamento.

Sì è consapevoli, quindi, che guardare al futuro con schemi del passato non è la soluzione, nè tantomeno il metodo giusto per affrontare le molteplici implicazioni sul tappeto. Ma pochi, hanno la freddezza e l’acume di tracciare definitivamente quella terza via che vacheggiata, auspicata e sognata,  intrapresa per necessità negli anni 90′ per ovviare e rimediare alle nefaste conseguenze di un liberismo senza freni, incarnato dalle politiche di Regan e della Tatchter. Il resto di tale cammino è storia nota a tutti, una redistribuzione del benessere, una panacea momentanea agli strascichi della macelleria sociale, la bolla speculativa degli anni 95-99, la “coattiva” e per certi tratti insensata messa in stand-by di tale “visione” da parte delle elites di pensiero economico dominanti nell’ultimo decennio.

Ma tutte quelle forze di sinistra, dopo queste decennio di turbolenze cosa sceglieranno di fare da grandi? Mettersi a traino della “inevitabilità” delle misure che ogni giorno si rimodulano o far valere anche se riadattati i propri valori, partecipando alla stesura dei programmi e delle soluzioni? Quale futuro quindi per i  i suoi valori?

Non solo i politologi e gli addetti ai lavori, ma anche i cittadini si chiedono se le opportunità progressive per tutti, una cittadinanza responsabile ed attiva, una comunità aperta, lo sforzo di sostenere chi non è in grado di farcela da solo, e di fornire a chi ne è in grado gli strumenti per migliorare, abbiano ancora “cittadinanza” e ragione di esistere in un sistema costantemente destabilizzato, improntato a demolire o negare sotto l’emergenza asilo a conquiste di portata storica, rassegnandosi così a vedere la componente umana  che si piega alle ragioni contabili ed economiche.

A questo punto è necessario brevemente un excursus storico-teorico sulla terza via: sul piano teorico il primo sostenitore della “terza via” è stato negli anni Novanta Anthony Giddens, che con il saggio Beyond Left and Right ha superato i confini classici della sinistra continentale, ripensando i canoni classici, senza snaturarli,  declinandoli alla luce delle nuove sfide globali e dei cambiamenti tecnologici. Sul piano politico invece, questa formula è stata incarnata  ed interpretata in varie modalità e con ricette diverse ma con un filo comune, dapprima dal Bill Clinton e da Tony Blair, poi da Zapatero,  passando per Schroeder e infine dal pragmatico Obama.

Come ci sottolinea lo stesso Giddens, purtroppo molti detrattori della terza via sono presenti anche a sinistra: una parte pur se ristretta dei socialdemocratici europei non ha mai nascosto dubbi, vedendo in essa un Thatcherismo dal volto umano, e per tale via un tradimento dell’’ideale socialdemocratico del provvedere collettivo alle necessità dei poveri e dei bisognosi. Invero, un mea culpa è tuttavia necessario: dal momento che l’analisi è palesemente corretta, in quanto è il dato oggettivo a provare che essa, ovunque abbia avuto adeguate possibilità di operare, ha funzionato decisamente meglio di qualsiasi alternativa, non si comprende l’assoluta pretestuosità degli attacchi senza quartiere provenienti anche da frazioni interne alla sinistra stessa, depotenziando quell’humus favorevole alla sua affermazione e sviluppo.

Gli autori di destra, da posizioni concettuali opposte  ne criticano la sua vacuità pratica e l’indeterminatezza metodologica. Tuttavia, l’autore inglese (Giddens) con parole chiare spazza via ogni dubbio precisando che la Terza Via è la socialdemocrazia rivista e attualizzata. Cerca di andare oltre le due filosofie dominanti del dopoguerra: una è quella forma di socialdemocrazia che ha tenuto banco per circa un quarto di secolo dopo la Guerra. Trovava le sue radici nella gestione keynesiana della domanda, nell’’interventismo del governo, nello stato assistenziale e nell’’egualitarismo. L’altra filosofia è proprio il neoliberismo o il fondamentalismo di mercato, secondo il quale il mercato è sempre più intelligente dei governi e quindi l’intervento dello Stato deve essere ridotto al minimo indispensabile”.

Ma come si traduce in pratica la 3za via? Ci sono ancora margini per essa?

Orbene a questo punto è necessaria soffermarci su un dato: questo mondo interdipendente, nonostante tutti i vantaggi scaturiti dalla globalizzazione non è più accettabile in quanto permeato da un’’intrinseca instabilità a cui non si può ovviare con le semplici leve politiche. Nel migliore dei casi è insicuro e incerto, nel peggiore povero e diseguale. È intrinsecamente instabile per due ordini di motivi: in primis per la circostanza che  molti gruppi sociali sono relegati ai margini, senza fruire dei benefici. In secundis, vi è una variegata componente politica, anche trasversale, avulsa dalle responsabilità, che animata da una feroce e miope  appartenenza ideologica demonizza e sbeffeggia alcuni dei valori menzionati. Tale fazione, impersonifica e rappresenta quella “politica dell’’identità”, “dell’apparire”, sminuendo gli altri, spesso visti solo come nemici, rei di essere portatori di una visione diversa.

Ed è per questi motivi che una Terza Via appare quanto più improcastinabile. Ragion per cui, le direttrici di intervento possono essere riassunte nei seguenti filoni:

  • Implementare modelli a carattere non ciclico ma di lungo respiro, che coniughino dinamismo economico e giustizia sociale, con  i necessari correttivi in fasi di crisi che però non snaturino o comprimano i valori del “fairness” (equità) e giustizia sociale, libertà e pari opportunità, solidarietà e responsabilità verso il prossimo;
  • La rimodulazione di un nuovo welfare, efficiente con tutti sopratutto con gli invisibili, giovani e precari,trasformando il sistema sociale da una rete di sicurezza sic et simpliciter delle “rivendicazioni”, foriera in passato anche di rendite parassitarie e di squilibri, in un trampolino di lancio della responsabilità personale;

  • Sul versante produttivo, rompere con i modelli ingessati del passato, promuovendo il passaggio da un’attività economica della produzione di massa a forte impiego di manodopera non specializzata verso un’economia “intelligente”;
  • Costruire un sistema regolativo efficiente, nella convinzione, avallata dalle crisi cicliche che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, che non sempre il mercato è capace di ripartire da solo, ma altresì è necessario una politica macroeconomica finalizzata alla stabilità e un bilancio pubblico che abbia come obiettivo imprescindibile l’abbattimento progressivo ma non immediato del debito pubblico, in quanto un rigore eccessivo non accompagnato da una crescita porterebbe alla recessione;

  • Favorire sempre più l’integrazione europea, per far si che ogni singola nazione, non si rifugi nella propria sovranità, miope delle scelte e delle sfide del futuro, non si muova come un cane che si morde la coda. Armonizzare dove possibile le legislazioni con i parametri europei e stabilire subito, gli standards di quei diritti sociali, che un’Europa nata come inclusiva ha  colpevolmente sacrificato e/o posticipato per il perseguimento del solo mercato comune.
Siamo pronti tutti a questa difficile sfida? Per affrontarla e vincerla abbiamo un urgente bisogno di “tornare al futuro…”