“Processo breve” e prescrizione: un’altra vittoria del Dispotismo democratico

aprile 15, 2011


Un’altra silenziosa …ma pesantissima tegola si abbatte sul sistema giudiziario penale:

La legge fortemente perseguita dalla maggioranza fissa “termini di fase” per ciascun grado del giudizio e accorcia di fatto i tempi per l’azzeramento dei reati.  Tale disegno di legge come hanno sottolineato con diversi toni ed accenti l’opposizione, la società civile e la Magistratura si traduce in”una sostanziale amnistia”, in un colpo di spugna non solo per i processi che vedono coinvolti il Premier e politici di entrambi gli schieramenti, ma sopratutto delicatissimi e importantissimi procedimenti che toccano le corde e le sensibilità sociali:  dai crolli del terremoto dell’Aquila, alla strage di Viareggio, al Crac Parmalat, che vede 100 mila risparmiatori truffati e 22 persone imputate per bancarotta e associazione a delinquere, oltre a banche indagate e imputate, per il Crac Cirio, senza tralasciare il processo Eternit di Torino con 3.000 parti offese e infine quello per la scandalosa gestione dei rifiuti a Napoli.

Ma come mai il cuore della presunta riforma, che ha il fine lodevole di accellerare i tempi di celebrazione dei processi, si tramuta invece in un meccanismo premiale per chi delinque? Infatti, suscita qualche perplessità nonchè sospetto la circostanza che l’emendamento che ha inserito modifiche al DDL “MODIFICHE AL CODICE PENALE” vada nuovamente ad incidere sull’art. 161 c.p. riducendo ancora il termine di prescrizione dei reati già abbondantemente ristretto per effetto della Legge n°251/2005 meglio nota come Legge Cirielli, a favore degli imputati incensurati.

I Soloni della maggioranza inoltre hanno previsto i “termini di fase” per ciascun grado del giudizio, diversificandoli in base della gravità del reato.

Orbene, sarà agevole antivedere che l’impatto di un ulteriore riduzione dei termini sarà devastante, sopratutto perchè anche il labile argine dell’art. 3 co 2° non sarà sufficiente ad evitare ripercussioni per i gradi successivi al primo, nochè gli effetti per i futuri procedimenti, stante il ricorso al cavillo da parte dei difensori e a causa dell’inefficacia dell’azione penale per numerosi reati.

Su questo aspetto ci pare contraddittorio e fuorviante tale intervento, se si ricorda che l’Italia è stata ammonita già dall’Europa in tema di corruzione (vedi rapporto G.R.I.E.C.O), in quanto troppo spesso in tale materia i termini di prescrizione permettono a causa della loro brevità, un improcastinabile ed ineluttabile estinzione del reato socialmente rilevante e dannoso, se si stima che la corruzione costa al sistema italia 60 miliardi di euro l’anno (http://www.transparency.org/content/download/55725/890310).

Tuttavia, molto truffaldinamente molti relatori e sostenitori di tale progetto fanno leva sulla circostanza che l’Italia sia stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di ragionevole durata del processo ex art. 6 Cedu (..al diritto di ogni persona che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole..): giova precisare, pertanto che la giurisprudenza della Corte così riduttivamente sbandierata e strumentalizzata va in una direzione che è opposta all’azione di tale Legge. Non sfuggirà ai più attenti osservatori che anche lessicalmente l’art. 6 parla di esaminare.. quindi di celebrare, di accertare nel merito una questione dedotta in giudizio. Tale convinzione, è confermata inoltre da supporti normativi rilevanti, in primis l’art. 6 della Convenzione, ma sopratutto gli articoli 24 e 111 della Costituzione, dalla cui lettura sistematica si evince chiaramente che il processo deve essere celebrato e che abbia come suo naturale epilogo una decisione di merito.

Sarebbe stato auspicabile e logico intervenire sulle regole prescrittive dopo l’introduzione della “cross examination”, ovvero il dibattimento orale di stampo anglosassone, che prevede una formazione della prova in contraddittorio delle parti, rimodulando i tempi invece che lasciarli inalterati, in quanto il vecchio codice penale si incentrava sull’uso delle prove scritte che snellivano di molto i tempi processuali.

Quindi, sgomberato il campo da ogni dubbio,  il  fulcro del richiamo della Corte europea sta nel trovare gli strumenti idonei ad accelerare lo svolgimento dei processi mediante un pronto accertamento giudiziario, non invece come si sta facendo da tempo con l’espunzione dei reati prima ancora che ci si giunga ad una decisione nel merito.

Il meccanismo quindi per realizzare questo obiettivo, nello scenario post “cross examination” non è certo la prescrizione per una serie di ragioni: innanzitutto, nel vigente codice penale – come peraltro nei suoi predecessori – difetta una definizione esplicita del concetto di prescrizione. Il codificatore si è preoccupato soltanto di definirne l’effetto, che viene identificato nella estinzione del reato (art.157 co. 1).

Inoltre, si ricordi anche la teoria elaborata dal Vassalli per individuare il fenomeno estintivo penale connesso al decorso del tempo, che andava ad attenuare e bilanciare precedenti orientamenti come quello del Codice Zanardelli, che rinveniva nell’istituto de quo, una “prescrizione dell’azione penale”, posto che il termine di inizio del decorso iniziasse a correre dal tempus commissi delicti.

Orbene, teorie come quella del Vassalli hanno il pregio di coniugare la legittima potestà dello Stato di perseguire i reati con il diritto dell’imputato di non trovarsi in una situazione di soggezione ed incertezza, avvicinando tale meccanismo alla decadenza, nello specifico integrerebbe una ipotesi di “decadenza dall’esercizio della potestà di punire”. Tale interpretazione del fenomeno estintivo penale si concilia con lo ius puniendi quale potestà statuale di punire, anziché quale diritto soggettivo statuale di punire. Inoltre bisogna far presente che la prescrizione esiste per i reati minori in tutti i sistemi per evitare che i procuratori potessero spulciare nel passato lontano per colpire un avversario.

Ragion per cui, sulla base di queste premesse, si è elaborato un sistema abbastanza bilanciato, che dagli ultimi interventi vede uno snaturamento dello strumento prescrittivo, in quanto stante gli insormontabili ostacoli di carattere normativo che si sono frapposti, allo Stato sarebbe precluso di fatto il perseguimento effettivo di numerosi reati, allorchè avesse deciso di esercitare l’azione penale.

Pertanto, un punto su cui incidere sarebbe stato quello di stoppare l’orologio della prescrizione, come avviene in tutte le democrazie del mondo, USA, Francia, Gran Bretagna ed Olanda, alla prima azione giudiziaria o all’inizio di un processo, evitando così da parte delle difese tattiche dilatorie e la ricerca estenuante di cavilli, che non fanno altro che allungare la durata dei processi a discapito della ricerca della verità ma sopratutto impediscono di giungere al normale sbocco ovvero una Sentenza sul merito.

Da questi elementi è quindi agevole ricavare che ci troviamo tristemente ancora a fronteggiare quel fenomeno fotografato da attenti osservatori quali Tocqueville e la Arendt, che nell’individuare i dilemmi endogeni della Società vedevamo emergere un “dispotismo democratico”:   oggi ancora di più che in passato, il cittadino italiano è un apatico homo aequalis , che si abbandona nelle braccia tutelari di un potere “previdente e mite”, incapace e svogliato di cogliere  la gravità di un’azione invisibile e silenziosa che erode e sconquassa le basi dell’uguaglianza sostanziale e del vivere democratico.

Anche la Democrazia si prescriverà a causa del processo breve?….

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